Va bene, facciamo da soli. Il web è pieno di call artistiche finalizzate alla raccolta fondi a sostegno degli ospedali durante la crisi del Covid19: è giusto e naturale, partecipare è una delle vocazioni dell'arte contemporanea, gli artisti possono mettere a disposizione idee, creatività, competenze. L'auto organizzazione dal basso degli artisti è lo specchio di una vitalità che non si ferma. Aderisco volentieri e le sostengo, anche se alcune sono allegramente scoordinate.
Ma è anche lo specchio di una realtà diversa e in un certo senso 'disfunzionale' che viene palesemente a galla nel momento critico che sta inondando il web: lo scollamento tra istituzioni - piccole e grandi che siano - e artisti. Negli anni si è radicato il reciproco rifiuto tra artisti e luoghi dell'arte: l'artista/curatore che fa da sé per non essere ingabbiato nelle maglie del sistema e il sistema che fa da sé, selezionando tra la miriade di proposte artistiche e non sempre ottenendo risposta.
Non è questo il luogo per analizzare le ragioni di questo processo, ma ne consegue una grande confusione di proposte e di mezzi priva di regia, che rischia di frammentare l'offerta e di disperdere la percezione. Sembra antipatico da scrivere perché dietro ciascuna iniziativa ci sono persone che ci stanno mettendo il cuore, ma la situazione disorienta anche un osservatore attento che si muove nella rete.
Osservando con affetto mi accorgo anche di un altro aspetto.
Siamo tutti sopraffatti dall'onda emotiva, dalla visione della bare portate via con i camion dell'esercito, dalla camera mortuaria di Madrid nello stadio del ghiaccio, dalle fotografie e dai video dei sanitari distrutti dopo giornate in ospedale, quindi corriamo a più non posso in gara con l'emergenza, per dare risposte subito a problemi immediati. Così, nella confusione di un presente per la maggior parte di noi fortunatamente e tragicamente inedito, ci dimentichiamo del dopo.
Ma è il dopo che va preparato.
Verrà il giorno in cui ci faranno uscire dalle nostre case e saremo ubriachi di sole e di aria, ci sembrerà che tutto vada per il meglio e che avremo vinto. Come un carcerato costretto troppo a lungo all'isolamento avremo le vertigini, attacchi di agorafobia.
Poi, dopo tanta agitazione sul web, dopo tanto rimboccarsi le maniche, improvvisamente il vuoto: quante serrande riusciranno di nuovo ad alzarsi dopo? Quante attività avranno avuto i mezzi, le possibilità e la lungimiranza di preparare il dopo?
Ci tufferemo di nuovo nella vita frenetica, chiudendo la porta di questa sospensione come se non fosse mai esistita - bisognosi di dimenticarla? - oppure ne avremo tratto qualcosa?
In questo il sistema dell'arte, per la sua fluidità, potrebbe perfino essere avvantaggiato se saprà approfittare di questo momento per ridisegnarsi e ripensarsi.
Agli artisti contemporanei spetta un ruolo fondamentale, che è quello di porre le domande. Quali sono le domande per il dopo dal punto di vista dell'arte?
Ecco, facciamo da soli, ma lo facciamo così: pensando al dopo r_esistiamo.
[ringrazio Monica Pirone per l'immagine del suo murales]
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